Recensione di
Davide G. Zardo, per la mostra di foto-poesia di Roberta Nozza e Silvia Calzolari
ROMANCE, UNA VENTATA DI FRESCHEZZA
Faceva caldo, giovedì 5 luglio. Soprattutto sul treno Milano
Centrale-Bergamo, dove nemmeno la corsa di un mendicante, inseguito da
un contro
llore inesorabile, è bastata a
smuovere l’aria nella carrozza. Era una vera e propria brezza, invece,
quella che si respirava alla galleria “Il Borgo” in via Santa Caterina,
dove la poetessa Silvia Calzolari e la fotografa Roberta Nozza hanno
allestito la mostra “Romance”, inaugurata domenica 1° luglio.
Un’iniziativa che tra poco diventerà anche un libro, e che meriterebbe
di essere fatta conoscere a quante più persone possibile, magari con un
tour itinerante, per l’originalità e la serietà con cui è stata
concepita e allestita. L’aria che si respira, contemplando foto che
sembrano quadri e poesie che sembrano musica, fa dimenticare il caldo,
la fatica, gli affanni quotidiani, raccontando l’animo femminile
attraverso quello che ne è il simbolo floreale universalmente
riconosciuto: la rosa. Le poesie di Silvia sono un esercizio di
raffinato ermetismo, una sfida per il lettore (quasi come in un romanzo
giallo) per comprendere il significato nascosto nel cuore di quei versi
che creano un linguaggio tutto particolare, con neologismi composti
dalla fusione di più parole, e da parentesi che appaiono nel mezzo di un
termine, dando vita a un doppio significato. Cercando l’essenziale,
Silvia Calzolari crea un linguaggio nuovo, fatto di rumori e
impressioni, pause e fragori, rimbombi nell’anima e voli astrali, dove
il suono di certe parole, come nelle onomatopee dei fumetti, diventa il
più eloquente possibile. Seguire il concatenarsi di queste frasi è come
addentrarsi in un labirinto: per uscire dal quale, a volte, è necessario
affidarsi al filo d’Arianna di un’immagine. Quella stessa immagine che
spesso, grazie alle foto di Roberta, è proprio l’ispiratrice delle
poesie di Silvia. Una coppia complementare, dove la fotografia, che
potrebbe parlare anche da sola, viene spiegata dai pensieri: e dove la
poesia, aiutata dall’immagine, acquista un senso tutto particolare. In
questo senso si crea un dialogo che non si ferma alla lettura delle
poesie e alla visione delle foto, ma che rimanda continuamente ad altri
spunti, ad altre suggestioni. Le foto di Roberta Nozza tradiscono la sua
origine di illustratrice e pittrice. Non sono pochi quelli che,
guardandone una, fanno fatica a convincersi che non si tratti di un
quadro impressionista. Tra i visitatori che hanno potuto apprezzare la
mostra, anche il noto pittore Luigi Giliberto, “attirato” in galleria
proprio da un’immagine della locandina che sembrava un dipinto. Io
personalmente ho provato l’impulso irresistibile di guardare dietro il
supporto rigido di un’immagine, per cercare le prove dell’esistenza di
una tela, e non di una stampa fotografica. Sì, perché ci sono quadri
così perfetti nei particolari, da sembrare in tutto e per tutto
fotografie. Gli scatti di Roberta, invece, hanno la morbidezza e al
tempo stesso la forza di una pennellata, con colori pastosi o appena
accennati, contorni nitidi oppure sfumati, e incarnano quella sintesi
tipica della scultura, dove è importante togliere il superfluo per
arrivare a mantenere l’essenziale. Sono foto che parlano non di una
Roberta soltanto, ma di almeno due. Gli scatti rosa e rossi, sfumati di
riflessi bianchi, e quelli cupi, stilizzati in un bi-colore dove il nero
è profondo, e il bianco appena sporco. C’è una seconda parte, in questa
mostra, dove si respira un’atmosfera noir, per non dimenticare che
insieme alle rose ci sono anche le spine. Ma quando si conclude il
percorso, si torna a una dimensione più rassicurante, dove i boccioli si
riaffacciano alla vita, e sembrano dirti, con voce femminile: “Siamo
qui, siamo ancora noi. Devi avere pazienza, ma non possiamo sempre
sorridere. Non ce ne siamo mai andate. E forse quello che si era
allontanato sei proprio tu”. Faceva caldo, il 5 luglio, a Bergamo. Ma
quando sono tornato a casa avevo il cuore pieno di freschezza.